Review from Rockgarage
Per essere un esordio, questo disco è semplicemente fantastico e per diversi motivi. Il primo è che il rock che questi ragazzi olandesi propongono contiene tutte quelle sfaccettature che lo rendono grande dal principio alla fine del disco. Ogni nota è studiata, i musicisti, si capisce subito che sono ben affiatati tra loro. Il secondo è che il disco sin dalla sua apertura promette bene e il racconto proposto ha a che fare con Skrik (L’Urlo) del pittore norvegese Edvard Munch che poi, in realtà, non è solo un dipinto ma una serie di quadri che qui, in questo bel disco vengono rappresentati. Il terzo è che la perfezione e la piacevolezza di un rock che viaggia tra classicismo progressive, tocchi di jazz e symphonic rock che esaltano quest’opera, composta proprio come se fosse un quadro. E se Munch è l’espressionismo in persona, gli olandesi Lunar Clock sono, con questo album, The Scream Of Nature, i cantori di un rock essenziale, senza fronzoli, semplice, talmente semplice da diventare immediatamente grande. Sinceramente di esordi così ne ho sentiti tanti, ma questo mi ha letteralmente folgorato mentre mi riprendevo da un buon pasto di mezza giornata. In cuffia avevo questa bella produzione, ma la bellezza di questo lavoro mi ha spinto con forza su questa tastiera ad esprimere di getto quelle che sono le mie impressioni che, oltre ad essere tutte positive, non sono solo il frutto di un ascolto critico dell’album, ma sono anche il risultato di una serie di sensazioni che non sto qui a raccontarvi.
Dallo scampanellio di Frieze che mi ricorda un Tubular Bells di anziana memoria, ai cori sovrapposti dello stesso brano che mi riportano ai lirismi della regina Queen ed ai primi New Trolls mi introduco, pian piano, al rumore dell’acqua che anticipa Skrik, coacervo iniziale di tocchi e ritocchi prima che il synth faccia il suo ingresso in questo già favoloso album che non lascia scampo e mi tiene sveglio. E così, mentre mi sembra di viaggiare, l’arrivo di Sadness Under The Bel Venus che sa già di sinfonismo puro, mi accompagna lentamente in un’atmosfera da sogno battente grazie ad un bel fraseggio della chitarra sulla quale, ad un certo punto, si adagia il pianoforte dello stesso Roben Bear che canta sostenuto da Shardan Stream fino allo giungere del flauto (magico) che, in chiusura, è come il tocco vellutato di una fata. Che dire poi di A Winter Storm On Spring Blossoms che è un vero e proprio dipinto in note, con il jazz rock che si appropria dei passaggi prog fin qui ascoltati mentre di soppiatto va a fondersi con il predominio di tastiere, synth e campionature lasciando però sfogare la chitarra di Stream in un grande assolo. Ascoltare per credere, e se non ci credete peggio per voi! Ed è ancora peggio per voi se la dolcezza di Equal Adoration non riesce ad avvolgervi nonostante i suggerimenti che vi abbiamo fin qui dato, perché è davvero difficile in un disco rock, che è anche impegnato culturalmente, riuscire a trovare delle carezze musicali così ben congegnate e concepite, con gli strumenti che sembrano essere le voci di centomila angeli che oggi, mentre scriviamo, ci hanno detto che sono andati via per sempre.
La musica di Bridge Of Anxiety è basata sul dipinto Ansia, una delle tre opere che Munch realizzò con un ponte quale sfondo ed è così avvolgente che quando arriva la successiva Despair, siamo ormai dentro i dipinti del pittore, insieme ai cori che sentiamo svettare sopra un piano accarezzato, ed una chitarra appena sfiorata. Poi, in chiusura, le tre sezioni di Metabolism, una vera e propria suite come prog comanda giocate tar mellotron, chitarra acustica, assoli di chitarra elettrica, i bei cori di Matebolism II: Mother Nature’s Sanctuary che, insieme a Metabolism III: Spring mettono i sigilli a questo splendido album che ha colpito così tanto. È difficile trovare esordi così, ma se son tulipani fioriranno. Già il primo è sbocciato in tutta la sua bellezza ed è di una qualità rara, infatti c’è solo un modo per raggiungerlo: sintonizzarsi sull’ora lunare.