Review Arlequins (Italy)
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I Lunar Clock sono olandesi e “The scream of nature” è il loro album di debutto. La musica è ispirata alle opere del pittore norvegese Edvard Munch come ben esemplificato dalla stessa copertina (che ricorda il famoso “Urlo”). Scegliere di divenire, seppur per un album, i “cantori” di uno dei maestri dell’Espressionismo e delle sue angosce esistenziali, ha portato i musicisti alla realizzazione di dieci brani piuttosto malinconici e cupi, dai colori tenui e delicati perfetti per la voce di Robin Boer (anche tastierista della band).
Un sound, salvo rare eccezioni, piuttosto sobrio e mai sopra le righe ma che in più di una circostanza sa “toccare” le corde giuste dell’ascoltatore. L’inizio a più voci di “Frieze” ci rimanda direttamente ai Gentle Giant (o, più “modestamente” ai Moon Safari), “Skrik” è schiettamente sinfonica, dopo una introduzione piuttosto cupa, dominata, com’è, dal Moog di Boer.
“Sadness under the Belt of Venus”, in particolar modo quando inizia il cantato, è un perfetto esempio di pop-sinfonico un po’ alla Kayak con il pianoforte che accompagna la voce di Boer tra chitarre arpeggiate e flauto (campionato?).
“A winter storm on spring blossom” ha delle atmosfere delicatamente jazzate con, in più, un pizzico di elettronica e, sul finale, un lungo “solo” dell’elettrica di Shardan Stream. “Equal adoration” è un gioiellino di dolcezza: pianoforte, chitarre acustiche, flauto e la voce di Boer che accarezza, malinconica, il tutto.
“Bridge of anxiety” è uno strumentale decisamente rock, per gli standard dell’album, con il moog protagonista di un bell’intervento. “Despair” è un altro bell’esempio di canzone “semplice” che ricorda i brani più introspettivi dei Porcupine tree di “Stupid dream” o, ancora, le ballad dei connazionali Kayak.
C’è spazio infine per una suite di circa 15 minuti, “Metabolisme”, divisa in tre sezioni distinte: d’atmosfera e quasi cinematica la prima parte (“The tree of life”), decisamente più rock e con belle melodie la seconda (“Mother nature’s sanctuary”), con echi floydiani e con un notevole guitar-solo nella conclusiva “Spring”.
“The scream of nature” è un lavoro che si ascolta con piacere, con qualche incursione in un pop più che gradevole, belle melodie, ed una (apparente) semplicità che ha il dono di conquistare l’ascoltatore. Un esordio che, seppur ambizioso nelle premesse, viene affrontato con garbo, a volte con qualche “timidezza”, ma che nel complesso offre una manciata di brani di qualità medio/alta meritevoli di attenzione. Promossi, insomma.